«Ho giocato a calcio per quarant'anni, di cui undici di fila, senza riposarmi mai, nemmeno per una domenica, nemmeno con la febbre e con gli acciacchi. Quarant'anni trascorsi con la faccia affondata nell'erba, o nel fango, o sulle righe di gesso dell'area di rigore, con gente pronta a staccarti la testa pur di arrivare un secondo prima di te su una palla. Qualche volta ho perso, più spesso ho vinto, ma questo non è così importante. Mi hanno chiamato mito, monumento, leggenda. Le mie mani sono finite in un francobollo commemorativo firmato da Guttuso. Ho giocato a scopone con Sandro